Onorevoli Colleghi!
Una definizione di apprendimento permanente.
Il punto di partenza è naturalmente la definizione di «lifelong learning» ovvero di «apprendimento permanente», adottata dall'Unione europea nella comunicazione della Commissione (Realizzare uno spazio europeo dell'apprendimento permanente): «(...) qualsiasi attività di apprendimento avviata in qualsiasi momento della vita, volta a migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze in una prospettiva personale, civica, sociale e/o occupazionale (...)».
L'ancoraggio europeo.
Dopo il Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000 e dopo la risoluzione del Consiglio del 27 giugno 2002 sull'apprendimento permanente, le elaborazioni europee in materia di istruzione e formazione, ma soprattutto il loro inserimento nel contesto dell'apprendimento permanente, si sono via via fatti sempre più penetranti, anche sulla base del metodo di coordinamento aperto «inteso come strumento per diffondere la migliore pratica e conseguire una maggiore convergenza verso le finalità principali dell'Unione europea».
Su questa base, come sappiamo, sono stati elaborati indicatori e benchmarks (livelli di riferimento prefissato) per i sistemi di istruzione e formazione e, più in generale, per l'apprendimento permanente, che nel loro insieme costituiscono un'importante cornice per le politiche nazionali e un loro punto di riferimento.
Coerenza europeista vuole che le politiche nazionali tengano conto del quadro europeo e che, anzi, lo considerino come fattore di valorizzazione. Per esempio,
La situazione italiana.
Paragonando la situazione italiana sia ai benchmarks europei, sia alle medie europee attuali, sia ai risultati di ricerche sui Paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), appaiono evidenti i rilevanti problemi che ci si trovano fronte. Se osserviamo la situazione italiana, infatti, ci rendiamo conto della differenza in negativo delle performance italiane non solo rispetto ai benchmarks fissati per il 2010 ma anche, in molti casi, rispetto all'attuale media europea, come evidenziato dalla Relazione intermedia comune 2006 del Consiglio e della Commissione sui progressi compiuti nell'ambito del programma di lavoro «Istruzione e formazione 2010: Modernizzare l'istruzione e la formazione: un contributo fondamentale alla prosperità e alla coesione sociale in Europa» del 1o aprile 2006.
Solo per quel che riguarda i laureati in matematica, scienze e tecnologia la performance italiana è buona, collocandosi l'Italia insieme a Slovacchia, Polonia e Spagna tra i Paesi che dimostrano negli anni recenti la crescita più forte.
Unione europea benchmarks.
Competenze di base - Key competences.
Entro il 2010, la percentuale dei quindicenni con scarse capacità di lettura dovrebbe diminuire nell'Unione europea almeno del 20 per cento rispetto al 2000 (capacità di lettura «livello 1» e grado inferiore. Fonte: PISA: Programme for International Student Assessment (OCSE, 2000).
Abbandono scolastico prematuro - Early school leavers.
Entro il 2010, nell'Unione europea si dovrebbe pervenire a una percentuale media non superiore al 10 per cento di abbandoni scolastici prematuri (percentuale della popolazione in età compresa tra 18 e 24 anni in possesso soltanto di istruzione secondaria inferiore o con un grado di istruzione ancora più basso e non inserita in un ciclo di istruzione o di formazione).
Completamento del ciclo di istruzione secondaria superiore - Completion of upper secondary education.
Entro il 2010, almeno l'85 per cento della popolazione di ventiduenni dell'Unione europea dovrebbe avere completato un ciclo di istruzione secondaria superiore [percentuale della popolazione di ventiduenni che ha completato con esito favorevole almeno il ciclo di istruzione secondaria superiore (ISCED 3)].
Matematica, scienze e tecnologie - Graduates in mathematics, science and technology.
Il totale dei laureati in matematica, scienze e tecnologie nell'Unione europea dovrebbe aumentare almeno del 15 per cento entro il 2010 e al contempo dovrebbe diminuire lo squilibrio tra i sessi.
Apprendimento lungo tutto l'arco della vita - Partecipation in lifelong learning.
Entro il 2010, il livello medio di partecipazione all'apprendimento lungo tutto l'arco della vita dovrebbe attestarsi nell'Unione europea almeno al 12,5 per cento della popolazione adulta in età lavorativa (fascia di età compresa tra 25 e 64 anni. Percentuale della popolazione di età compresa tra 25 e 64 anni che ha partecipato a un corso di istruzione e formazione nelle quattro settimane precedenti l'inchiesta).
| | | | Competenze di base (%)
|
| Abbandono scolastico prematuro (%)
|
|
|
| Completamento del ciclo di istruzione secondaria superiore (%)
|
|
|
| Laureati in matematica, scienze e tecnologia (x 1.000)
|
| Partecipazione in attività di apprendimento lungo tutto il corso della vita (%)
|
|
|
| |
Una delle tre priorità approvate dal Consiglio dell'Unione europea nella decisione 2005/600/CE del 12 luglio 2005, sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, decisione confermata con la decisione 2006/544/CE del Consiglio, del 18 luglio 2006, per il 2006 e ulteriormente confermata nella proposta di decisione della Commissione per il 2007, è l'aumento degli investimenti in capitale umano, migliorando l'istruzione e le qualifiche, e per questo vengono stabiliti due orientamenti, l'orientamento 23 - Potenziare e migliorare gli investimenti in capitale umano - e l'orientamento 24 - Adattare i sistemi di istruzione e formazione ai nuovi requisiti in termini di competenze - e alcuni obiettivi e parametri di riferimento che si aggiungono ai benchmarks di cui abbiamo parlato precedentemente.
Se analizziamo gli indicatori utilizzati per monitorare le Linee guida troviamo l'Italia sempre sotto l'attuale media dei 25 Paesi membri dell'Unione. Ciò avviene per investimenti in risorse umane, investimenti delle imprese nella formazione degli adulti, livelli educativi dei giovani di ventidue anni di età, abbandono scolastico, partecipazione all'istruzione e alla formazione, partecipazione alla formazione continua.
Negli indicatori sui servizi per i bambini vi è un dato positivo riguardante i servizi per bambini da 3 a 6 anni di età, mentre è negativo quello per i bambini da 0 a 3 anni (allegato 6 delle Linee guida).
Dai risultati dell'indagine OCSE su «Letteratismo e abilità per la vita. Indagine nazionale sulla popolazione italiana 16-65 anni», pubblicata dall'Invalsi a cura di Vittoria Gallina, possiamo attingere ulteriori notizie e comparazioni internazionali interessanti. «L'indagine comparativa internazionale ALL (letteratismo e abilità per la vita) evidenzia:
la drammatica limitatezza di competenze alfabetiche funzionali (letteratismo e abilità per la vita) della popolazione italiana;
l'importanza del possesso di queste competenze in relazione alla occupabilità ed al livello di inclusione sociale della popolazione (esercizio dei diritti di cittadinanza e stabilità economica);
le quote di giovani e di giovani adulti che denunciano limitate abilità/competenze, soprattutto se confrontate con quelle dei giovani degli altri Paesi [Bermuda, Canada, Norvegia, Svizzera, USA, Messico (Nuevo Leon)] che hanno partecipato all'indagine;
la correlazione tra i livelli elevati di competenza e sviluppo dei settori produttivi strategici (...).
I risultati della indagine ALL mettono in evidenza che:
la popolazione adulta italiana, presa nel suo complesso, non possiede una competenza alfabetica funzionale (literacy) adeguata alle esigenze della società della conoscenza;
il possesso di abilità/competenze dei giovani conta molto, perché questi potenzialmente contribuiranno per un tempo più lungo, con le loro competenze, allo sviluppo sociale ed economico del Paese;
conoscere e intervenire sul deficit di competenze è una priorità per il Paese;
l'istruzione è un fattore molto importante per garantire lo sviluppo di competenze di literacy ma non è il solo fattore determinante: il letteratismo si sviluppa e si consolida attraverso processi molto diversi e solo alcuni di questi sono riferibili ai sistemi formali di istruzione;
una strategia di espansione graduale del sistema scolastico non appare sufficiente a colmare il deficit di competenze che si evidenzia nel mercato del lavoro e nella società attuale: dovrà passare molto temo prima che si possano sentire gli effetti dell'incremento della scolarità dei giovani attuali;
il letteratismo è una competenza essenziale che incide sulla capacità degli adulti di apprendere in modo efficace, di
interventi efficaci e strategie adeguate devono essere costruiti valorizzando i meccanismi e i processi attraverso i quali gli adulti mantengono e aggiornano abilità e competenze: apprendimento sul lavoro, esperienze di vita e iniziative ed attività personali;
le competenze/abilità alfabetiche funzionali, come i muscoli, si mantengono con l'esercizio e l'uso continuo ed efficace: la scuola ha un ruolo insostituibile nel fornire la base, ma solo l'uso continuo nelle attività quotidiane mantiene livelli adeguati di competenza;
promuovere il lifelong learning significa mettere i cittadini in condizione di essere capaci di avere accesso agli ambienti in cui si promuove apprendimento: a casa, sul lavoro, nella comunità sociale;
accrescere i finanziamenti per l'educazione degli adulti è una scelta necessaria, ma vanno supportate anche iniziative volte a motivare gli adulti alla partecipazione: apprendere in età adulta è un atto volontario, una scelta che dovrà coinvolgere strati di popolazione che oggi non sono motivati o non si sentono sostenuti in questi percorsi;
la formazione sul lavoro tende a essere rivolta a persone che si trovano già a un certo livello di competenza: il rischio è che non vengano raggiunti quelli che hanno maggior bisogno;
bassi livelli di competenza alfabetica sono associati con tassi più elevati di disoccupazione e questo si traduce in un costo personale e sociale molto elevato;
dovranno essere sperimentate strategie mirate all'incremento della partecipazione ad attività formative di persone con livelli estremamente bassi di competenza, che nel nostro Paese superano il 40 per cento della popolazione;
molti sono gli ambiti della vita sociale che, pur non configurandosi immediatamente come lavoro e istruzione, sono strettamente correlati ai livelli culturali della popolazione: l'incremento delle opportunità di studio e di qualificazione è un fattore essenziale nelle politiche di contenimento della criminalità e in quelle di prevenzione in campo sociosanitario;
l'obiettivo di operare sulla cultura della popolazione è un elemento trasversale delle politiche rivolte sia ai giovani che ai cittadini più anziani;
politiche di sostegno delle lingue e delle culture dei diversi gruppi sociali, che vivono entro un Paese, politiche di sostegno alla cittadinanza attiva ed all'esercizio dei diritti, politiche di welfare e di sviluppo produttivo sono dimensioni collegate ai patrimoni di competenze possedute (...)».
I risultati del «Programme for Intemational Student Assessment (PISA)» 2003 dell'OCSE sul livello di competenza dei quindicenni in matematica, lettura, scienze e problem solving dimostrano la posizione bassa per non dire bassissima dei giovani italiani nei confronti dei loro coetanei di tanti altri Paesi, anche se è vera la differenza notevolissima nei livelli di competenza di coloro che abitano nelle regioni del nord-est e del nord-ovest piuttosto che nelle regioni meridionali. Ma dimostrano anche una correlazione tra i risultati di competenza matematica dei Paesi dell'OCSE e la percentuale della popolazione adulta giovane con un titolo di istruzione secondaria superiore. In Italia, inoltre, a una percentuale comparativamente bassa della popolazione adulta con un titolo di istruzione secondaria si aggiunge una percentuale più bassa, rispetto alla media internazionale, di adulti che hanno completato l'istruzione terziaria.
In fin dei conti si arriva sempre alla stessa conclusione: in Italia è presente un problema di livelli di cultura e di processi di apprendimento che, se non superato, avrà conseguenze sempre più negativamente rilevanti sia sull'individuo, sia sulla società, sia sull'economia. Lo stesso Consiglio
Investimenti in risorse umane.
Ma guardiamo, infine, l'ultima delle conclusioni del Consiglio dell'Unione europea del maggio 2003 in merito ai livelli di riferimento del rendimento medio europeo nel settore dell'istruzione e della formazione e cioè l'investimento nelle risorse umane.
La comunicazione del Consiglio «Modernizzare l'istruzione e la formazione: un contributo fondamentale alla prosperità e alla coesione sociale in Europa. Relazione intermedia comune 2006 del Consiglio e della Commissione sui progressi compiuti nell'ambito del programma di lavoro "Istruzione e formazione 2010"» del 1o aprile 2006 risponde chiaramente: «(...) Dal 2000, non si è ridotto il distacco tra l'Europa e i Paesi concorrenti come gli Stati Uniti per quanto riguarda gli investimenti totali nei settori chiave dell'economia della conoscenza.
Alcuni Paesi asiatici, come la Cina e l'India, stanno rapidamente colmando il loro distacco.
Tuttavia, le spese pubbliche destinate all'insegnamento, espresse in percentuale del PIL, sono in aumento in quasi tutti gli Stati membri dell'Unione europea (media UE: 4,9 per cento nel 2000, 5,2 per cento nel 2002).
Il trend positivo osservato tra il 2000 e il 2002 è un incoraggiante segnale del fatto che i governi considerano le spese pubbliche per l'insegnamento come una priorità. Si constatano tuttavia forti variazioni tra i diversi Stati, visto che la quota oscilla tra il 4 per cento e l'8 per cento del PIL. La maggior parte dei governi sembra comunque riconoscere che le riforme necessarie non possono essere varate con gli attuali livelli e schemi d'investimento.
Numerosi Paesi incoraggiano l'investimento privato dei singoli e delle famiglie, particolarmente nei settori in cui i coefficienti di rendimento privati sono elevati, ad esempio con misure d'incentivazione quali assegni-studio o conti individuali a fini di formazione (ad esempio, AT, BE, NL, UK6), incentivi fiscali (ad esempio FI,
La formazione continua dei lavoratori.
Secondo il Rapporto 2005 sulla formazione continua dell'Istituto per lo sviluppo della formazione dei lavoratori (ISFOL) «(...) Nel complesso del periodo 2001-2004, per le politiche di formazione continua dei lavoratori sono state erogate risorse di natura pubblica per un ammontare di 2,2 miliardi di euro, il 19 per cento del totale delle risorse pubbliche per la formazione. Tali spese rappresentano solo una frazione delle politiche attive del lavoro: pur se con una certa cautela per via delle differenti definizioni contabili adoperate, si può stimare che le risorse per la formazione dei lavoratori ora dette rappresentino circa un ventesimo dell'intera spesa in politiche attive, che, come noto, è in prevalenza assorbita da incentivi all'occupazione sotto forma di decontribuzioni (ivi incluse quelle connesse al contratto di apprendistato).
Il Fondo Sociale Europeo, includendo nel computo gli importi relativi al cofinanziamento nazionale, contribuisce alle politiche di formazione per lavoratori per circa il 60 per cento nella media del quadriennio, anche se vi è una tendenza ad accrescere il ruolo delle politiche nazionali rispetto al FSE. Nel 2004, con l'inizio delle erogazioni finanziarie ai Fondi interprofessionali per la formazione continua, il peso del FSE è calato al 50 per cento, ed è destinato a diminuire nei prossimi anni, sia come effetto del funzionamento ordinario dei Fondi interprofessionali, sia per la probabile riduzione degli apporti comunitari.
Nel complesso della programmazione 2000-2006, il FSE ha messo a disposizione circa 2 miliardi di euro (sia per dipendenti pubblici che privati); di questi, risultano impegnati al primo semestre del 2005 il 45,8 per cento degli stanziamenti (50,9 per cento nelle regioni obiettivo 3 e 24,9 per cento nelle regioni obiettivo 1). Tramite la legge n. 236 del 1993 - su cui peraltro permangono forti carenze informative circa l'utilizzo delle risorse - si è continuato a finanziare le attività di formazione continua gestite dalle Regioni e dalle autonomie locali, accentuando in questi ultimi anni l'attenzione su gruppi target specifici (in alcuni casi identificabili come soggetti deboli nel senso prima ricordato) e sviluppando un canale di finanziamento per la formazione a domanda individuale. Nel complesso del periodo 2001-2004, sono stati trasferiti alle Regioni 370 milioni di euro, a cui si aggiungono i quasi 60 milioni di euro del 2005. Ancor più specificamente indirizzati alla formazione a domanda individuale sono le risorse di cui alla legge n. 53 del 2000, per la quale nel periodo 2001-2004 sono stati erogati circa 25 milioni di euro, a cui si aggiungono i 20 milioni di euro erogati alle Regioni nel 2005. Ciò sta contribuendo a ri-bilanciare il sistema verso interventi a domanda individuale, nella prospettiva di una definizione di veri e propri diritti individuali alla formazione. Resta peraltro da vedere se ciò abbia consentito di coprire soggetti che altrimenti non sarebbero stati coinvolti in iniziative formative (lavoratori con carriere non lineari, soggetti a basso titolo di studio o bassa qualifica), o, se invece, le risorse siano state utilizzate da soggetti che avrebbero in ogni caso autofinanziato la loro formazione (...). Anche con specifico riferimento alle attività formative in senso stretto, diversi sono i segnali di ritardo evidenziati dagli indicatori comparativi abitualmente considerati: solo un quinto dei lavoratori italiani partecipa ad attività formative rispetto ad una media europea del 40 per cento; solo un quarto delle imprese realizza attività di
L'educazione degli adulti nella scuola.
Secondo il monitoraggio nazionale sull'educazione degli adulti (EDA) nell'anno scolastico 2003/2004 eseguito dall'Istituto nazionale di documentazione per l'innovazione e la ricerca educativa (INDIRE) «(...) Per l'anno scolastico 2003/2004 sono stati rilevati 540 Centri Territoriali Permanenti (CTP) e 675 Istituti di Istruzione secondaria di II grado gestori di corsi serali, per un totale complessivo di 1.215 sedi EdA.
È da porre in evidenza che i CTP possono svolgere le proprie attività anche presso sedi ad essi collegate. Il censimento ha segnalato l'esistenza di 1.178 sedi collegate che, se aggiunte al numero di CTP rilevati (540), portano a 1.718 le sedi effettive delle attività formative dei CTP. I
Il ruolo delle università popolari e dell'Unieda (Unione italiana di educazione degli adulti).
Negli ultimi venti anni si è sviluppato in Italia un forte movimento civico che ha consolidato e reso possibili progetti concreti di apprendimento permanente attraverso università polari, università della terza età e università civiche. Basti pensare che nell'anno scolastico 2003/2004 le università popolari italiane avevano 546 sedi legali, 546 sedi didattiche e un numero di partecipanti pari a 387.000. Il significato di questo movimento è da ricercare nella libera iniziativa dei cittadini che attraverso associazioni e strutture permanenti hanno supplito allo Stato e agli enti locali, comportando una partecipazione attiva da parte dei cittadini partendo dalla frequenza dei corsi e dei seminari per giungere a forme di partecipazione più avanzata sul piano culturale e scientifico, sia attraverso i viaggi e le visite culturali sia attraverso la gestione di piccoli musei, di scavi archeologici o la creazione di laboratori di apprendimento pratico (la cultura «dell'imparare a fare»). Nello stesso tempo si è sviluppata una classe dirigente che ha trasformato la struttura volontaristica in organizzata e stabile, contribuendo allo sviluppo dei servizi di formazione e di cultura ma anche alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro, creando così occupazione per il personale dirigente, amministrativo e docente. Le forme più evolute di questo sistema sono da ricercare nell'istituzione da parte della regione Toscana dei circoli di studio, quale forma di organizzazione del bisogno di base di partecipazione con un decentramento su base provinciale, e da parte dell'Associazione di promozione sociale università popolare di Roma (Upter), che a sua volta nel 1998 ha fondato l'Unione italiana di educazione degli adulti (Unieda). La sola Upter, attraverso un'organizzazione capillare sul territorio romano dal 1998, ha aggregato oltre 300.000 cittadini attraverso le sue attività, con una partecipazione minima annuale di circa 35.000
Una legge nazionale sull'apprendimento permanente.
Sintetizzando dunque le ragioni che legittimano la necessità di una legge nazionale italiana per l'apprendimento permanente, potremmo dire che essa è necessaria, anzi indispensabile, atteso che l'Italia voglia accettare la sfida della costruzione dell'economia e della società della conoscenza:
a) affinché si realizzino in Italia le condizioni per l'esercizio del diritto all'apprendimento permanente, come condizione di libertà e di uguaglianza di tutti i cittadini, in relazione alle loro condizioni fisiche, culturali, sociali e di genere, di effettiva partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, di sviluppo della competitività del Paese nel mondo;
b) per superare il distacco con una parte del mondo e con l'Europa per quel riguarda le competenze e la quantità e la qualità dei processi di apprendimento;
c) per testimoniare e soprattutto per realizzare una priorità politica nazionale per le politiche della conoscenza e dell'apprendimento;
d) per ridurre il distacco tra nord e sud e per rendere più efficiente e nello stesso tempo più equilibrato il nostro Paese.
Un passo in avanti fu fatto quando fu sancito nel marzo 2000 nella Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, l'accordo tra Governo, regioni, province, comuni e comunità montane per riorganizzare e potenziare l'educazione permanente degli adulti e, pur essendo ancora utile riferirsi ad esso per molti dei suoi contenuti, è comunque da sottolineare che tale strumento non è più sufficiente dati gli impegnativi obiettivi che occorre porsi.
E nello stesso Programma di governo 2006/2011 dell'Unione europea l'obiettivo di provvedere ad una normativa in materia è posto sia pur nei termini di una legge per alfabetizzare e rialfabetizzare.
Le scelte di una legge nazionale sull'apprendimento permanente.
Nel delineare i contenuti di un'auspicata legge nazionale sull'apprendimento
a) lavoro in partenariato;
b) creazione di una cultura dell'apprendimento;
c) aspirazione all'eccellenza;
d) conoscenza della domanda di apprendimento;
e) agevolazione dell'accesso;
f) risorse adeguate.
All'interno di esse stanno, come è noto, le priorità d'azione:
a) valorizzare l'apprendimento;
b) informazione, orientamento e consulenza;
c) investire tempo e denaro nell'apprendimento;
d) ravvicinare i discenti e le opportunità di apprendimento;
e) competenze di base;
f) soluzioni pedagogiche innovative.
E dunque le scelte di una legge nazionale sull'apprendimento permanente che la presente proposta di legge si prefigge di attuare possono essere così indicate.
Il diritto all'apprendimento permanente è un diritto individuale e al suo interno c'è un diritto alla formazione di base che riguarda tutti i cittadini dalla nascita fino al compimento del diciottesimo anno di età.
Per la realizzazione di questo diritto occorrono il coinvolgimento e la responsabilità di tutti, siano essi istituzioni, soggetti della società o singoli cittadini e politiche complesse sia sul versante della domanda che sul versante dell'offerta. Si tutela ed esalta così la libertà di scelta individuale, si riducono gli ostacoli di natura economica e si aumenta il tempo disponibile per l'apprendimento.
È insomma un'impresa collettiva quella che viene incentivata da una legge nazionale.
L'apprendimento permanente, infatti, o è un impegno di tutti, degli individui, delle istituzioni e della società o non è realizzabile.
Ma tutto questo non si raggiunge spontaneamente e dunque, per garantire l'accesso ad attività di apprendimento permanente a tutte le persone, indipendentemente dalla loro condizione lavorativa e di genere e dalla loro cittadinanza, per l'acquisizione di competenze utili alla loro crescita personale e professionale, la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli che impediscono l'accesso alle attività di apprendimento permanente, con particolare riguardo ai soggetti svantaggiati dal punto di vista sociale e culturale, ai disabili, ai lavoratori anziani e a rischio di obsolescenza professionale, ai lavoratori discontinui, ai senza lavoro, agli stranieri.
Alla estrema pluralità dei soggetti chiamati a processi di apprendimento permanente, alla difformità dei loro bisogni formativi, alla loro mutevolezza nel tempo non si può rispondere con pacchetti di offerta formativa preconfezionati. Mettere al centro del sistema gli utenti con le loro diverse e cangianti caratteristiche è davvero la precondizione per rendere l'apprendimento permanente un'opportunità per tutti e per questo occorrono politiche della domanda e politiche dell'offerta e non solo sul versante dell'iniziativa o dell'incentivazione finanziaria ma anche con la realizzazione di servizi di supporto.
La domanda di formazione si incoraggia con «interventi che hanno per oggetto la riduzione degli ostacoli di natura economica, l'aumento del tempo disponibile a
allocazione di risorse in favore di soggetti altrimenti esclusi dall'accesso alla formazione;
promozione e incoraggiamento di forme di risparmio a fini formativi, sia attraverso prestiti che forme assicurative;
agevolazioni fiscali rapportate agli investimenti in formazione di individui e imprese.
Per l'aumento del tempo disponibile a fini formativi contribuiscono interventi quali:
il supporto alle diverse forme di permessi di studio retribuiti per lavoratori dipendenti e, più in generale, di rafforzamento della compatibilità tra orario di lavoro e tempi per la formazione;
l'introduzione di diritti formativi individuali in materie particolari di interesse sociale.
Al riconoscimento delle libertà individuali in materia formativa contribuiscono interventi quali:
il diritto individuale all'informazione sull'offerta formativa esistente e sulla sua qualità;
il diritto individuale alla scelta dell'offerta formativa rispondente agli interessi personali ed alla possibilità di personalizzare i percorsi formativi;
il diritto individuale al riconoscimento ed alla certificazione delle competenze acquisite sia nella precedente esperienza di vita e di lavoro che al termine di un percorso formativo».
Le politiche di supporto all'offerta di formazione promuovono e incoraggiano «la presenza su tutto il territorio nazionale di un sistema formativo integrato che assicuri un'offerta formativa differenziata per livelli, modalità, contenuti e volta a rispondere ai bisogni formativi dei diversi strati di popolazione dalla prima infanzia all'età più avanzata, dei lavoratori dipendenti, degli imprenditori e dei disoccupati.
A questo fine contribuiscono interventi quali:
gli investimenti pubblici e privati nel campo dell'edilizia e delle infrastrutture tecnologiche a carattere formativo;
il rafforzamento dell'autonomia delle istituzioni formative pubbliche;
lo sviluppo dell'iniziativa privata per la creazione di servizi formativi di interesse pubblico;
lo sviluppo della ricerca a supporto dei processi di innovazione dell'offerta formativa;
la riqualificazione dei percorsi di formazione iniziale e continua del personale addetto alla programmazione, alla gestione ed all'erogazione dei servizi;
la diffusione di modelli di controllo e gestione della qualità dell'offerta formativa;
lo sviluppo della qualità formativa dei luoghi di lavoro».
E, infine, è necessaria una rete di servizi di supporto al sistema formativo integrato e ai cittadini in formazione.
«Tali servizi assolvono a funzioni di supporto ai percorsi formativi individuali, di validazione delle competenze individuali, di monitoraggio e controllo del sistema formativo.
All'assolvimento di funzioni di supporto ai percorsi formativi individuali contribuiscono interventi quali:
la diffusione dei servizi di orientamento sia formativo che lavorativo e di consulenza individuale;
la diffusione di servizi di informazione, dei centri di orientamento bibliografico e di documentazione di ogni tipo,
la diffusione dell'erogazione dei servizi attraverso le nuove tecnologie.
Alla validazione delle competenze individuali contribuiscono interventi quali:
la creazione di un sistema nazionale delle competenze;
l'introduzione di forme di riconoscimento e certificazione delle competenze;
l'introduzione di norme che assicurino la mobilità degli individui tra sistemi formativi in ragione delle competenze possedute.
Alle funzioni di monitoraggio e controllo del sistema formativo contribuiscono interventi quali:
un sistema nazionale di valutazione;
la definizione di obiettivi generali relativi a ciascuna delle componenti del sistema formativo;
la adozione di comuni modelli di pianificazione e valutazione degli interventi».
L'integrazione tra i sistemi dell'educazione, dell'istruzione, dell'orientamento, della formazione e del lavoro è lo strumento per rendere i percorsi formativi adatti alle esigenze differenziate di ognuno.
La concertazione e la sussidiarietà sono la conseguenza, anzi, la condizione per fare della costruzione di un sistema di apprendimento permanente un progetto collegiale e condiviso.
«I processi di formazione dei Piani di attività di formazione permanente si conformano ai princìpi del concorso istituzionale, della partecipazione sociale e dell'integrazione tra i sistemi di educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale, lavoro e cultura».
La vera novità nell'ambito dell'apprendimento permanente in Italia è lo sviluppo delle organizzazioni di terzo settore. Le recenti indagini dell'ISFOL (2002 e 2006) e le rilevazioni dell'Istituto nazionale di statistica concernenti l'offerta di formazione permanente in Italia evidenziano il consolidamento e la diffusione di organismi attivi, su base associativa, sotto forma di associazioni di promozione sociale, di organismi di volontariato, di cooperative sociali eccetera. Una legge nazionale sull'apprendimento permanente deve ormai riconoscere non solo le forme più avanzate di questi enti ma mettere in condizione coloro i quali intendano contribuire con la costituzione di nuove realtà locali di poter accedere attraverso modalità di sostegno finanziario e strutturale con il concorso delle regioni. Occorre investire nelle professionalità nuove, spontanee ma fortemente competenti, formatesi all'interno delle associazioni e delle organizzazioni, per dare alla formazione permanente una nuova «gamba», un nuovo spazio pubblico capace di accogliere la ricchezza della ricerca e delle attuazioni delle molteplici realtà di terzo settore. L'Unieda, prima ricordata, è un esempio di coordinamento di università popolari e di agenzie per l'apprendimento permanente. L'Unieda, attraverso la sua menzionata adesione al Forum del terzo settore e il riconoscimento giuridico operato dalla citata legge n. 383 del 2000, rappresenta una modalità di organizzazione e di riflessione sulle forme istitutive da intraprendere. Il terzo settore, nella sua costante dinamica organizzativa, è destinato a crescere così come le professioni che al suo interno si stanno sviluppando. Le università popolari possono diventare una struttura di massa, capillare, raccoglitrice di volontà di apprendimenti alternativi ai sistemi di formazione regionali e statali. La terza dimensione dell'apprendimento è rappresentata dalla nuova consapevolezza dei cittadini che apprendono per accrescere le proprie competenze ma anche per migliorare la loro personalità. Occorrerà dunque istituire attraverso modalità consolidate forme di controllo della qualità e garantire il rispetto della vocazione associativa. Mentre per quanto riguarda il
a) la programmazione, l'indirizzo, il coordinamento della progressiva ed equilibrata estensione dell'apprendimento permanente su tutto il territorio nazionale, in coerenza con le linee contenute nel «Piano di azione nazionale per la promozione dell'apprendimento permanente»;
b) la determinazione degli obiettivi generali da conseguire nelle diverse articolazioni dell'offerta formativa;
c) la promozione della qualità e dell'innovazione degli interventi;
d) l'indirizzo e il coordinamento per acquisire ed elaborare dati e informazioni sulla domanda e sull'offerta di apprendimento permanente in coordinamento con le regioni;
e) la determinazione e l'assegnazione delle risorse a carico del bilancio dello Stato.
Le regioni hanno i compiti e le funzioni concernenti:
a) l'indirizzo, la programmazione e lo sviluppo dell'apprendimento permanente, sulla base delle indicazioni del «Piano di azione nazionale per la promozione dell'apprendimento permanente», secondo specifiche esigenze di carattere unitario regionale;
b) la ripartizione delle funzioni tra gli enti locali;
c) la promozione della qualità e dell'innovazione degli interventi;
d) il sistema di valutazione dell'offerta di apprendimento permanente;
e) lo sviluppo del sistema informativo regionale;
f) l'indicazione degli indirizzi per l'attuazione di iniziative di formazione iniziale e continua delle diverse figure professionali impegnate nelle attività di apprendimento permanente, per quanto di competenza;
g) la ripartizione agli enti locali delle risorse pubbliche in coerenza con quanto previsto dal «Piano di azione nazionale per la promozione dell'apprendimento permanente».
La provincia svolge le seguenti funzioni:
a) concorre con la regione alla definizione delle scelte di programmazione in tema di apprendimento permanente;
b) predispone le linee generali per la programmazione territoriale, con particolare riferimento alla definizione del quadro complessivo delle risorse disponibili su scala provinciale;
c) programma i servizi di informazione e di pubblicizzazione di interesse sovracomunale;
d) collabora al monitoraggio del sistema a livello provinciale sulla base delle indicazioni ricevute dal livello regionale e in sinergia con eventuali progetti di monitoraggio e di valutazione di dimensione regionale.
I comuni e le comunità montane svolgono le seguenti funzioni:
a) concorrono con la regione e con la provincia alla definizione delle scelte di programmazione in tema di apprendimento permanente;
b) provvedono al monitoraggio e all'analisi dei fabbisogni formativi e professionali che emergono dal territorio;
c) programmano l'uso condiviso delle risorse disponibili;
d) promuovono le iniziative nell'ambito dell'apprendimento permanente;
e) concorrono alla definizione dei progetti pilota, sulla base delle priorità e delle vocazioni territoriali;
f) promuovono la realizzazione e il coordinamento dell'insieme delle opportunità presenti a livello territoriale, ai fini del funzionamento integrato del sistema;
g) organizzano iniziative per l'informazione e per l'orientamento degli utenti rispetto alle diverse opportunità.
Lo strumento attuativo delle politiche nazionali è il menzionato «Piano di azione nazionale per la promozione dell'apprendimento permanente» approvato formalmente dal Governo e frutto di una intesa con la citata Conferenza unificata, previa concertazione con le parti sociali.